È certamente il più importante mezzo terapeutico da utilizzare nella fibrillazione atriale. Un paziente anticoagulato può avere crisi di fibrillazione atriale, ma il rischio embolico sarà praticamente abbattuto trasformando l’aritmia da “potenzialmente maligna” in “benigna”. La terapia anticoagulante oltre che indubbi benefici, comporta però anche un “rischio emorragico” per cui deve essere somministrata appropriatamente, cioè al giusto paziente e nella giusta dose. Bisogna pertanto bilanciare il “rischio embolico” con il “rischio emorragico” prima di iniziare un trattamento anticoagulante.
A tale proposito vengono abitualmente proposti, a livello internazionale, due punteggi per quantificare questi due rischi. Più precisamente il rischio embolico si valuta con l’indice CHADS-VASC che prende in considerazione la presenza di vari parametri quali la presenza di cardiopatie, ipertensione arteriosa, età tra 65 – 75 anni, età maggiore di 75 anni, diabete, precedente ictus, arteriopatia periferica, sesso femminile, dando a ciascuno un certo punteggio (figura). Il rischio emorragico viene valutato dall’indice HASS-BLED che prende in considerazione ipertensione ridotta funzione renale ed epatica, Ictus, sanguinamento, INR, età, farmaci.
I farmaci anticoagulanti che sono stati utilizzati negli ultimi cinquant’anni sono i cosiddetti dicumarolici, cioè gli inibitori della vitamina K elemento essenziale nella catena della coagulazione.
Il Coumadin rappresenta tuttora il farmaco più usato al mondo, ma comporta notevoli limitazioni a causa della sua non costante eliminazione dall’organismo con conseguente elevata variabilità del livello di anticoagulazione da soggetto a soggetto e anche da un giorno all’altro nello stesso soggetto.
Questa variabilità dell’eliminazione del farmaco, obbliga il paziente ad eseguire frequenti controlli del sangue (ogni 15 – 20 giorni circa) per misurare un parametro chiamato INR il cui valore dovrebbe essere contenuto tra 2 e 3. Al di sotto di 2 non siamo infatti certi dell’efficacia nella prevenzione dell’embolia e al di sopra di 3 si aumenta il rischio di avere manifestazioni emorragiche.
Il metabolismo del Coumadin è inoltre influenzabile da alcuni cibi (verdure a foglie larghe) o da alcuni farmaci (antinfiammatori) che possono ridurre o aumentare significativamente il valore dell’INR da un giorno all’altro.
Altra limitazione del Coumadin è rappresentata dalla lunga durata all’interno dell’organismo della sua azione. In caso di interventi o emorragie è necessario interrompere il farmaco molto anticipatamente per consentirne lo smaltimento e sostituirlo con anticoagulanti a breve durata di azione.
Da un po’ d’anni sono a disposizione della comunità cardiologica Internazionale i cosiddetti NAO nuovi anticoagulanti orali (DABIGATRAN, RIVAROXABAN, APIXABAN, EDOXABAN) che agiscono su altri livelli della catena della coagulazione (figura) ed essendo molto più stabili non hanno bisogno di essere controllati come il Coumadin e non sono influenzabili del cibo o da altri farmaci. È certamente una rivoluzione nel campo della terapia anticoagulante per la fibrillazione atriale in quanto questi farmaci hanno tutti dimostrato efficienza pari o superiore al Coumadin nel prevenire le embolie sistemiche, ma anche di abbattere significativamente il rischio di emorragia cerebrale. Particolare cautela nell’utilizzo di questi nuovi farmaci viene raccomandata nei pazienti molto anziani, in quelli con insufficienza renale nei quali il farmaco dovrebbe essere somministrato a dosi ridotte o addirittura evitato. L’esperienza, ormai di oltre ventiquattro mesi, con i NAO è stata decisamente positiva ed incoraggia all’espansione del loro utilizzo perlomeno nell’ambito della prevenzione dell’embolia sistemica nei pazienti con fibrillazione atriale non valvolare.