Fare di più non significa fare meglio
8 Gennaio 2017
Negli ultimi anni si è assistito ad una progressiva crescita di esami diagnostici e prestazioni terapeutiche non invasive ed invasive in tutto l’ambito medico e particolarmente in quello cardiologico. Tale aumento può avere molteplici cause, dall’invecchiamento sempre maggiore della popolazione alla disponibilità di tecnologie per la diagnostica e la terapia sempre più sofisticate, alla richiesta sempre più pressante di benessere fisico e qualità di vita da parte della popolazione. Parallelamente si osserva molto spesso anche un aumento della inappropriatezza di indicazione per tali esami con conseguente inutile sovraccarico delle strutture, del personale medico e paramedico e non ultimo un significativo aumento della spesa sanitaria. È stato recentemente ipotizzato che circa un terzo delle indagini cardiologiche non invasive (ecg, ecocardiogramma, Holter cardiaco, Holter pressorio, Test da sforzo) risultino non appropriate, cioè evitabili senza danni per il paziente. D’altra parte una simile percentuale di inappropriatezza non dovrebbe stupirci se si pensa alla facile comunicazione oggi disponibile, informazioni mediche spesso non somministrate nella maniera più equilibrata, a volte forzate dall’industria che tende ad evidenziare esclusivamente i lati positivi di una terapia farmacologica o di un trattamento invasivo cardiaco e quelli negativi nel caso di non trattamento di determinate patologie. Contemporaneamente può accadere che si parli poco o nulla delle potenziali complicanze delle tecniche diagnostiche o terapeutiche consigliate. Il medico, dal canto suo, si dibatte tra la disponibilità ed il facile accesso alle metodiche sofisticate, la sua conoscenza dei potenziali benefici di esse, la richiesta silente o manifesta del paziente di avere certezze diagnostiche e sicurezze terapeutiche che lo facciano vivere meglio e più a lungo, problemi di etica che lo portano a fare “di tutto” per il bene del suo paziente, cercando di non trascurare nulla di quanto la scienza mette oggi a disposizione e “last but not least” il potenziale rischio che il non avere fatto determinate indagini o terapie possa poi essere un appiglio contro di lui in una eventuale controversia medico – legale. Quante volte infatti durante un dibattito si sente dire: “se avesse fatto un ecocardiogramma!” , “se avesse preso questa medicina!”, “se fosse stato sottoposto a questa metodica invasiva” e così via. La reazione consequenziale del medico è quella di fare di più, anche se più a volte non è sinonimo di meglio, ma di peggio. L’altra faccia di questa medaglia, etica ed iperefficiente, fa però vedere una realtà piuttosto diversa. Fare tutto ciò che la moderna tecnologia medica mette a disposizione può a volte, comportare il rischio di complicanze potenziale che non solo vanificano i possibili benefici, ma addirittura possono a loro volta, facilitare patologie nuove e peggiorative rispetto allo stato di salute nel quale il paziente si trova prima di tutto ciò. Si può infatti osservare quella che viene abitualmente definita la “cascata terapeutica” cioè una serie di eventi negativi progressivi, causati gli uni dagli altri che possono determinare grave rischio per il paziente.
Per fare un esempio potrei descrivere il caso di una mia paziente, di circa 50 anni con “doloretti” al petto del tutto aspecifici (cioè non riferibili con elevata probabilità ad un disturbo su base ischemica) che viene sottoposta direttamente ad una coronarografia saltando tutte quelle altre indagini non invasive, non pericolose, che avrebbero potuto mettere in evidenza una non necessità della coronarografia stessa. La paziente viene sottoposta all’esame che evidenzia una lieve ostruzione di una delle coronarie. Il livello di ostruzione viene sopravvalutato e conseguentemente la paziente viene sottoposta ad una angioplastica (la dilatazione di un’arteria con un palloncino). La dilatazione dell’arteria provoca una dissezione della coronaria che si estende in via retrograda anche al tronco principale e poi prosegue nell’altra coronaria. La paziente sta molto male, il cuore subisce un importante infarto ed a nulla vale il pronto intervento con applicazione di stent che ripristina il flusso coronarico ed il regolare apporto di sangue al tessuto cardiaco. La importante riduzione della forza contrattile del cuore (bassa frazione di eiezione) espone la paziente al rischio di aritmie ventricolari potenzialmente maligne che potrebbero causarne la morte improvvisa. Per proteggerla viene applicato un defibrillatore automatico che mostra poi nel tempo successivo di essere molto utile intervenendo durante crisi di tachicardia ventricolare scatenatesi spontaneamente. La qualità della vita della paziente è decisamente inferiore a quella precedente l’inizio della terapia.
Infine voglio appena accennare ai costi stratosferici che la sanità pubblica ha dovuto sostenere in questo caso (per un’angioplastica coronarica circa 20.000 €, per un defibrillatore circa 15.000 €, per degenza circa 1.000 € al giorno e così via) che avrebbero potuto essere evitati se la paziente fosse stata semplicemente sottoposta ad uno o due esami diagnostici non invasivi.
Ovviamente quanto detto sopra non deve minimamente far pensare che la prevenzione non sia importante in cariologia e che l’utilizzo delle metodiche diagnostiche e terapeutiche debba in qualche modo essere limitato. Il messaggio che si vuole dare è esclusivamente quello di fare cose appropriate, delle quali con alta probabilità il/la paziente si beneficerà.
Ancora una volta la soluzione del problema ritorna all’interno di quello che io chiamo il “bilancio medico-paziente”. È solamente da una corretta analisi dei sintomi descritti e dei consigli operativi suggeriti dalle Società Scientifiche e basati sull’evidenza della pratica clinica che il medico sarà in grado di stabilire per il suo paziente il percorso diagnostico-terapeutico ottimale non falsato da costrizioni finanziarie né di medicina difensiva. D’altro canto il paziente dovrò dare fiducia al proprio medico curante, non indirizzarlo con forza verso protocolli aggressivi e non appropriati, guidati da una conoscenza superficiale appresa su internet del tutto incapaci di personalizzarli sul caso specifico. È da una grande attenzione clinica del sanitario e da una grande fiducia del paziente sul suo medico che nasce la vera forza della medicina espandendone i suoi potenziali benefici e limitandone al massimo i suoi potenziali danni.
A volte “Fare di più non significa fare meglio”
Un cordiale saluto
Prof. Massimo Santini
Presidente
Il Cuore di Roma – Onlus